mercoledì 13 febbraio 2013

QUEL CANTIERE NEL MIRINO DELL'EUROPA


TRATTO DA IL PUNTO DEL 7 FEBBARIO 2013 CON QUALCHE INESATTEZZA SI APPROFONDISCE ULTERIORMENTE IL TEMA SPV . Qui è scaricabile la versione cartacea
Due sono le indagini Ue sulla superstrada in costruzione. L’impatto ambientale della grande opera è quello che desta più sospetti. E c’è chi si interroga sulla sua reale utilità
Sulla Superstrada Pedemontana Veneta vigila l'occhio dell'Europa. Mentre il 4 febbraio apriranno i cantieri per un tratto di 8,5 chilometri ne i comuni di Marostica, Nove, Bassano del Grappa e Rossano Veneto, tutti in provincia di Vicenza, come il primo tratto partito da Romano d'Ezzelino nel novembre del 2011.
Le indagini Ue
Due le indagini in corso sul tavolo del commissario europeo all'Ambiente Janez Potočnik: una per verificare se il commissario delegato per l'opera, l'ingegner Silvano Vernizzi nominato nel 2009 e recentemente confermato fino al 2014 per risolvere con la Spv lo «stato d'emergenza determinatosi nel settore del traffico e della mobilità nel territorio dei comuni di Treviso e Vicenza», abbia violato la direttiva comunitaria 2003/4/CE, che garantisce la libertà di accesso degli atti pubblici, quando più volte ha negato ai vari comitati di visionare il piano economico-finanziario e la convenzione relativa al progetto definitivo, con la motivazione che si tratta di accordi di natura privatistica dato che la Spv sarà costruita in project financing (il Punto ha già affrontato questo argomento nel numero 1), e sarà a pedaggio. L'altra tocca la questione ambientale e verificherà se nel progettare la Spv siano state rispettate le norme comunitarie in materia di acque, soprattutto per l'impatto sulle falde sotterranee (direttiva 2000/60/CE), e se la mancanza di V.inc.a e Via sul progetto definitivo, sono state fatte infatti solo in fase di progetto preliminare, rappresenti una violazione delle direttive 85/337/CEE e 97/11/CE.

A portare la Spv all'attenzione di Bruxelles è stato l'europarlamentare Andrea Zanoni dell'Idv, subentrato nel 2011 a Luigi De Magistris dopo la sua elezione a sindaco di Napoli, che non ha perso l'occasione di approfondire le istanze provenienti dal suo territorio. Zanoni, trevigiano di Paese e un lungo passato di ambientalista, con due interrogazioni, nell'ottobre 2011 e nel luglio 2012, ha in sostanza fatto all'Europa le domande alle quali qui non si riesce ad avere risposta proprio in virtù della tutela del segreto industriale di cui il costruttore privato, il consorzio Sis, gode, anche se l'opera è pubblica. E una risposta, seppur parziale perché le indagini sono in corso, è arrivata: sulla questione dell'accesso agli atti Potočnik a settembre ha comunicato di aver ricevuto nell'agosto scorso una risposta da parte della autorità italiane, ma anche di aver chiesto «ulteriori chiarimenti», mentre sul fronte ambientale ha confermato l'interesse della Commissione ad approfondire il rispetto delle norme comunitarie «con particolare riguardo per l’impatto sulle acque sotterranee».

Al di là del binomio cemento-rischio idrogeologico, che torna a far paura a ogni pioggia torrenziale che si abbatte sul Veneto, sconvolto nel novembre del 2010 da un'alluvione, la preoccupazione dei comitati di cui Zanoni si è fatto carico riguarda proprio l'integrità delle falde, dato che dei 95 chilometri che si realizzeranno di Spv, 50 sono in trincea. «Quando il piano della strada - spiega l'europarlamentare - si trova sotto il piano campagna, c'è bisogno di canali di scolo per i reflui delle piogge. In una strada ad alta percorrenza c'è un determinato inquinamento da idrocarburi per le perdite naturali e accidentali dei motori e dei serbatoi, ci sono polveri sottili. Quando piove, l'acqua dove andrà? Verrà recuperata? Ci saranno sistemi di separazione degli oli e degli idrocarburi? O andrà tutto direttamente nel sottosuolo? L'ho dovuto chiedere all'Europa». Senza contare che una strada in gran parte in trincea «comporta un'importante escavazione di materiali inerti. Qui si parla di cave lineari lunghe chilometri», aggiunge. Con le grandi piogge del novembre scorso, che hanno messo per qualche giorno di nuovo in allarme il Veneto, un'idea di quello che si teme si è avuta nel cantiere di Montecchio Precalcino. Racconta Lanfranco Tarabini, uno dei referenti del Comitato Difesa Salute Territorio che riunisce i contrari alla Pedemontana dell'Alto vicentino e della Valle Agno: «Tutta la zona attorno agli scavi, tutti i campi, erano completamente allagati mentre l'interno della trincea era asciutto». Questo per Tarabini significa una sola cosa: «Scavando la trincea è stato tolto lo strato di argilla naturalmente presente, quindi l'acqua è percolata direttamente nel sottosuolo. Se lì ci fosse in futuro uno sversamento di qualsiasi natura, andrebbe in falda. e quella è una falda utilizzata per il pescaggio con i pozzi artesiani a Vicenza e in altri paesi. E poco più in là vi attingono anche gli acquedotti di Novoledo e Padova. Insomma, così com'è stata concepita l'opera, non c'è garanzia che le acque di dilavamento non portino in falda gli inquinanti che sono sulla strada».

L’impatto ambientale

Su questa scia, una delle principali questioni dal punto di vista formale che i comitati continuano a sollevare, e che ora è anche in Commissione europea, è il fatto che la Spv manchi di Valutazione di impatto ambientale sul progetto definitivo. Zanoni, che fa parte anche della commissione che deve ridisegnare la norme europee alle quali queste autorizzazioni devono guardare, considera: «L'attuale Via ha delle maglie larghe, e in Italia, e in Veneto in particolare si approfitta di questo, affrontando i progetti per singoli lotti, senza averne una visione completa, con opere complementari e viabilità secondaria».

Nel mirino dell'europarlamentare sono finite anche le cosiddette opere di mitigazione della Spv, e il riferimento, ovviamente, è quanto avviene negli altri stati. «In Europa ci sono autostrade attorno alle quali hanno fatto crescere dei boschi, che sono barriere naturali alle polveri sottili e all'inquinamento sonoro», precisa Zanoni, che per quanto riguarda la Pedemontana, che pur prevede 132 chilometri di siepi e 15 ettari di boschi, ricorda l'esperienza del Passante di Mestre: «Erano previste aree boschive a destra e sinistra della strada, ma hanno finito i soldi. Hanno messo qualche alberello. La parte del verde nei progetti c'è sempre, ma alla fine serve solo a far ingoiare il boccone amaro di una nuova costruzione».

Un caso particolare di presunto conflitto ambientale, poi, è stato sollevato senza esito due anni fa a Treviso: il tracciato della Superstrada Pedemontana Veneta, infatti, verso la sua parte finale attraverserà una discarica di rifiuti speciali a Lovadina, frazione di Spresiano, rendendo quindi necessaria una bonifica anche parziale del sito. Una discarica attiva da vent'anni e che raccoglie per una buona parte rifiuti dalle cartiere, per il resto difficile stabilirne l'origine. Nel giugno del 2011 Luigi Amendola, consigliere provinciale di Sel, ha fatto un'interrogazione chiedendo alla Provincia «se vi sia documentazione rispetto alla qualità dei rifiuti che sono stati sepolti, se siano state fatte verifiche (carotaggi) di quali inquinanti siano presenti. Si chiede inoltre se sia a conoscenza delle quantità di materiale che dovranno essere rimosse e spostate, e se e quali rischi per la salute dei cittadini residenti possano esservi a causa della movimentazione dei materiali, con annessa sollevazione di polveri». Interrogazione alla quale l'ente trevigiano ha risposto di non possedere la documentazione richiesta «in quanto la progettazione e la realizzazione della Superstrada Pedemontana Veneta è di competenza del commissario delegato». Insomma, l'ingegner Vernizzi è l'unico riferimento per qualsiasi domanda.

In attesa che la Commissione europea diventi quel canale per la trasparenza più volte invocata, conclude l'onorevole Zanoni: «Io penso che tra vent'anni la Pedemontana Veneta sarà citata come uno dei più grossi errori di pianificazione del territorio della politica attuale. E viste tutte le criticità, questa è un'opera che resterà incompiuta. È stata pensata trent'anni fa, letteralmente in un'altra epoca, prima che le imprese che hanno fatto la ricchezza del Nordest cominciassero a delocalizzare e prima della crisi. È stata progettata un'autostrada. Ha ancora senso?».

Veneto 2100
Uno studio controcorrente

Una nuova strada, anche la Superstrada Pedemontana Veneta quindi, può essere un'opportunità per la stabilità idrogeologica del territorio, e non una fonte di aumento del rischio. La considerazione, apparentemente contro il senso comune, arriva dalla ricerca Veneto 2100 - Living with water, condotta dallo studio italo-belga Latitude, una realtà no profit che riunisce fra Venezia e Bruxelles architetti urbanisti, antropologi e ingegneri civili, e presentata lo scorso anno alla Biennale di architettura di Rotterdam.

Lo studio partiva dalle alluvioni del 2010 per indagare tre territori del Veneto che presentano diversi tipi di rapporto con l'acqua e di problemi di dissesto idrogeologico: l'area di Monteforte d'Alpone nel Veronese, l'alta pianura a nord di Treviso e il delta del Po. Il tutto fornendo soluzioni di gestione del territorio in un'ottica centenaria, 2100 appunto, seguendo un approccio "resiliente", cioè come i territori possono rispondere a delle sollecitazioni mantenendo il loro equilibrio. Sollecitazioni che per quanto riguarda il Nordest negli ultimi anni si stanno traducendo in grandi precipitazioni, a rischio appunto come si è visto, in autunno, e siccità d'estate.

L'incrocio con la Spv è avvenuto analizzando proprio l'alta pianura trevigiana, considerando l'area che va dal Montello al fiume Sile e tenendo il fiume Piave come limite a est. Spiega Fabio Vanin, architetto urbanista fra i fondatori dello studio Latitude: «Il nostro studio era legato al Piave, per riportalo a essere un fiume. Perché oggi si può dire che sia una macchina portatrice di acqua, sfruttato per l'energia elettrica e l'agricoltura». Per quanto riguarda l'alta pianura trevigiana, il "ritorno all'origine" del Piave si dovrebbe tradurre in una riduzione delle derivazioni, ovvero ridurre l'acqua presa dal fiume per irrigare i campi. «Questo però vorrebbe dire togliere acqua al territorio e all'agricoltura, e qui entra in gioco anche la Pedemontana», continua Vanin. In pratica il tracciato della strada, che di fatto taglia il deflusso delle acque, da un punto di vista idraulico può essere un'opportunità per il loro riordino e una loro miglior gestione, considerando che siamo su un terreno ghiaioso dove l'acqua filtra e va direttamente in falda. Se fosse realizzata, potrebbe far parte del "sistema" di opere e accorgimenti che Veneto 2100 identifica nella riduzione delle colture che consumano molta acqua, come mais e soia; nell'utilizzo delle cave dismesse come bacini di raccolta e nel trasformare in positivo la realtà del Veneto di essere una "città diffusa": «Si possono usare le tantissime aree impermeabilizzate - spiega l'architetto, facendo riferimento anche alle aree industriali dismesse - come dei ricettori che ci possono far trattenere l'acqua in un sito, pensando poi a realizzare una serie di direttrici, utilizzando la rete già presente e ora in disuso, per portarla nei campi». Questo può avvenire anche con la Spv, continua Vanin: «Alla Pedemontana, così com'è ora progettata e nei tratti in rilevato, si potrebbero addossare dei bacini, potrebbe diventare una sorta di barriera che permette all'acqua di appoggiarsi». Ai professionisti dello studio Latitude sono ben chiare le polemiche che investono la realizzazione della superstrada, tuttavia «noi non entriamo nella questione se il progetto vada bene o no - conclude l'architetto Vanin - Abbiamo solo preso il tracciato proposto e proviamo a immaginare come potrebbe diventare utile, se realizzato, alla raccolta delle acque. (a.s.)

Il contenzioso

Chiesti 7,5 milioni per il progetto

La notizia è rimbalzata sui giornali locali negli ultimi giorni: la Pedemontana Veneta Spa, che oltre dieci anni fa ha realizzato il progetto della superstrada, divenendone ente promotore, ma ha perso la gara per la sua realizzazione a favore del consorzio Sis, ha chiesto 7,5 milioni di euro per gli oneri, appunto, di progettazione. La richiesta, firmata dal liquidatore della società veneta Silvano Pedretti, che è anche assessore al Bilancio del Comune di Brescia, è arrivata in ordine al consorzio Sis, alla Regione Veneto e al commissario Silvano Vernizzi. Tutti hanno risposto in modo negativo, ciascuno con la propria motivazione. Ora per la società in liquidazione, che vede fra i suoi azionisti A4 Holding, Autostrade per l’Italia, Impregilo e Autovie Venete, pare che l'unica strada sia procedere con un decreto ingiuntivo per vedersi riconosciuti gli oneri di progettazione. Cosa che aprirebbe a una causa di tempi incerti. Il Punto ha cercato inutilmente di mettersi in contatto con Pedretti, per chiarire quali siano le reali intenzioni della Pedemontana Veneta Spa. Se il lungo percorso legale già affrontato dalla società aveva avuto un senso per ricorrere contro la vittoria del consorzio Sis nell'appalto per la realizzazione della Spv, ora la questione è diversa. Fra l'altro proprio il contenzioso fra le due società è all'origine della decisione del commissario Vernizzi di non rendere pubblico il piano economico-finanziario della Pedemontana, come confermato a Il Punto in un'intervista.

La richiesta degli oneri di progettazione, quantificati in 7,5 milioni di euro, in realtà è legittima: l'ente promotore di un progetto ha il diritto di vederne riconosciuti i costi qualora non coincidesse con il concessionario che lo realizza. Proprio come in questo caso. Le controparti però si chiedono perché questa richiesta arrivi solo ora. Parlando alla stampa locale, da un lato il direttore generale di Sis Claudio Dogliani ha detto che il rimborso non è dovuto. per diverse ragioni: «A partire dalla sentenza del Consiglio di Stato secondo cui la Spa non è stata ammessa alla gara», e perché Sis non ha mai visto i rendiconti delle spese di progettazione, sui quali si calcola il tetto di spesa da rimborsare. Dall'altro il commissario Vernizzi se ne chiama fuori, liquidandolo come un problema fra privati. E non teme l'eventualità che alla regione arrivi il decreto ingiuntivo. La Pedemontana Veneta Spa aveva anche chiesto alla Regione di "intaccare" le fideiussioni per i costi di progettazione. La Regione ha passato la palla a Vernizzi che, sempre sulla stampa locale, ha dichiarato che le fideiussioni erano state fatte nel 2009 e poi mantenute per sei mesi perché ritenute molto onerose. E proprio sulle fideiussioni è partita il 17 gennaio, e diretta al Genio Civile, alla Regione e al commissario una richiesta da parte di Eco dalle Terre, neonata rete di diversi comitati gruppi e associazioni del territorio a cavallo fra Treviso e Vicenza, fra cui alcuni contrari alla Pedemontana: «Abbiamo fatto una richiesta di chiarimenti sull'ottemperanza della legge sugli appalti, nell'articolo che dice che ogni opera deve essere garantita con una polizza fideiussoria che la copra tutta - spiega Osvaldo Piccolotto, fra i promotori delle rete - Cerchiamo la conferma che non ci sia, del resto è successo anche con la Pedemontana lombarda. E siamo pronti a portare la segnalazione alle Corte dei Conti». (a.s.)

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