domenica 1 dicembre 2013

Fusioni e nuove strade, a Nordest schizofrenie infrastrutturali

casino.titanbet.it
TRATTO DA nordesteuropa.it DI SIMONE FILIPPETTI

Tutte le (auto)strade portano a Roma. E molte passano per il Nordest. Ma nel Veneto dell’ex miracolo economico sembra che, quando si tratta di opere pubbliche, la destra non sappia cosa fa la sinistra. Eppure le braccia appartengono allo stesso corpo. Schizofrenie di un paese in recessione e da decenni senza una vera politica industriale. Con una mano il Governo (per opera del ministro Maurizio Lupi) spinge per celebrare il matrimonio tra la Serenissima (che ora però si chiama A4 Holding) e la Autobrennero (A22). Lupi segue una logica semplice che dice: in Italia ci sono ormai troppe concessionarie e la crisi morde, occorre razionalizzarle. Con l’altra mano, il Cipe (che sempre Governo è) annuncia, con sommo compiacimento della Regione ed enti locali, la costruzione di un’autostrada nuova di zecca: la Nogara-Mare, 107 km da Verona verso l’Adriatico. Le due cose sono peraltro legate perché la nuova arteria a pagamento si innesterà proprio sulla A22. E perché tra i gestori dei futuri caselli c’è la stessa Serenissima (uno dei soci del consorzio vincitore). Una situazione in aperta contraddizione: o c’è la crisi e dunque non servono nuove strade o la crisi non c’è e allora non servono le fusioni tra concessionarie.Non so se vi sia mai capitata tra le mani una di quelle cartoline degli anni ‘50 o ‘60. Ritraggono l’autostrada del Sole o i ristoranti Pavesi, quelli a ponte (che oggi si chiamano Autogrill). Fanno sorridere, perché oggi a nessuno verrebbe mai in mente di spedire una cartolina con una stazione di servizio. Ma quei ristoranti a ponte e quelle autostrade scintillanti allora erano il simbolo del Paese che usciva dalla povertà, del boom economico del Dopoguerra. Le autostrade sono state il sistema venoso del corpo Italia, le arterie dove circolava il sangue. Per 50 anni il paese si è mosso, anche metaforicamente, sulle strade asfaltate. Il Pil è andato di pari passo con la motorizzazione di massa.

Con tutte le distorsioni che questo ha pure comportato: lo sbilanciamento del trasporto su gomma su altri mezzi, l’eccessiva dipendenza dal petrolio, lo strapotere dei padroncini, gli scempi ambientali e una nociva subcultura dell’uso spropositato dell’auto (che non ha pari in Europa). Oggi tutto questo è svanito. 

La recessione sta lasciando a piedi gli italiani. Ne sanno qualcosa i gestori di autostrade, appunto: il traffico sulla rete viaria a pagamento è calato del 9% l’anno scorso e di un altro 2% quest’anno (fino a metà anno). Siamo tornati indietro di 12 anni.  L’agognata ripresa, se mai ci sarà, toccherà in ogni caso solo marginalmente le autostrade perché, questo è il vero nodo dell’industria dei pedaggi, si va verso un mondo sempre meno auto-centrico. I giovani usano l’auto meno dei loro genitori. Se gli over 50, rivela uno studio di Prometeia, non fanno a meno della quattroruote (il 90% guida l’auto), questa percentuale scende paurosamente al 70% per chi ha meno di 25 anni. I giovani di oggi saranno gli adulti di domani. Ora, si dirà che il motivo è contingente: i giovani oggi non hanno lavoro (uno su due è disoccupato in Italia) e non hanno reddito disponibile. Ma c’è di più che il ciclo economico: la rivoluzione dei treni ad Alta Velocità sta cambiando le abitudini di trasporto e di spesa della gente (si preferisce un treno col wi-fi dove si può chattare con gli amici in Faebook, che guidare, un piacere da Anni ‘70 quando si viaggiava a gruppi). L’auto è destinata a diventare un dinosauro per gli spostamenti a lunga percorrenza.

Dal 2007 al 2012 l’Italia ha perso 7 punti di Pil reale e la spesa delle famiglie è scesa del 5%. In autostrada le cose vanno addirittura peggio perché, il mix di recessione e calo dei consumi, ha costretto la gente a viaggiare (sia per piacere che per lavoro) di meno. La prova provata è nei litri di benzina venduti in autostrada. Si sono dimezzati (-40%). Ma allo stesso tempo il prezzo dei carburanti è schizzato (+38%). Piccola parentesi: i benzinai vendono di meno, ma se aumento il prezzo al litro, compenso alla grande il calo dei litri erogati. E il quadro non è destinato a migliorare: quest’anno, stima Prometeia, sarà ancora in calo e solo nel 2014 il business autostradale si stabilizzerà. Ma non tornerà mai come prima. L'uscita dalla recessione sarà lunga e lenta. 
Allora, di fronte alla cruda realtà dei numeri, uno si chiede quale utilità abbia costruire una nuova autostrada quando si fatica a riempire quelle che già ci sono. La risposta è nascosta  tra le pieghe delle dichiarazioni dell’entusiasta assessore regionale Renato Chisso: con la Nogara-Mare il veneto colma un gap di 30 anni di ritardi nelle infrastrutture. 

Appunto: quello che si costruisce ora in Italia sono progetti nati decenni fa. Ma che oggi non servono più. Da questo punto di vista la Nogara-Mare è degna sorella del Passante di Mestre. Mai opera fu più attesa e invocata. Solo che il Godot per eccellenza delle infrastrutture è arrivato fuori tempo massimo. La scorsa estate,  periodo di punta per il traffico, il Passante non ha mai superato i 70mila veicoli. Con cali che hanno toccato punte del 5% in alcuni fine-settimana che invece sulla carta dovevano essere da bollino nero. Servono ancora le autostrade in Veneto? Mentre esperti e opinionisti si interrogano, una cosa è certa. La nuova autostrada costerà poco meno di 1,9 miliardi di euro.

Mentre la Regione esulta (ma soprattutto esultano le ditte appaltatrici) per la nuova grande opera, lo stesso dicastero sembra rendersi conto infatti che poco più a Nord di Nogara occorre invece accorpare: il matrimonio tra A22 e A4 ha molto senso. Creerebbe una super-concessionaria in grado di sostenere i costi della costruzione della Valdastico (altra autostrada, ma serve davvero?) e permetterebbe molte sinergie di costi. Non che le due autostrade vadano male. Hanno bilanci in ordine. E stupirebbe se fosse il contrario, visto che quello delle concessioni è un business regolamentato: monopoli naturali, flussi di cassa certi e sicuri, adeguamenti tariffari automatici con l’inflazione e legati agli investimenti da fare (quindi vuol dire che i costi li paga il viaggiatore e non la società). C’è solo da mettersi in poltrona. Dal 2008 al 2011 i ricavi sono sempre saliti. E le due società hanno portato a casa utili puntuali come un orologi svizzeri.

Ma la crisi  si sente anche nei caselli del Nordest. L’anno scorso, per la prima volta, i ricavi della Autobrennero hanno tirato il freno: 383 milioni contro i 397 del 2011. Sono scesi, di conseguenza, anche i profitti (da 83 milioni a 71). 
Sulla Serenissima la musica non è diversa. Anzi, la società viene da un buco da 120 milioni del 2010 (con una perdita record) e risanata poi nel 2011 (chiuso sostanzialmente in pareggio) e un piccolo utile di 12 milioni l’anno scorso). Sulla concessionaria di Padova, però, grava una montagna di debiti: oltre 600 milioni. 

E proprio la Serenissima dovrà farsi carico della nuova autostrada: un’opportunità o un fardello?

Nessun commento:

Posta un commento

TU COMMENTI NOI MODERIAMO