Il giudizio: la Terra parla, ma qualcuno fa finta di non sentire
Le falde contaminate non sono un’opinione. Sono un fatto. Eppure, per anni, chi avrebbe dovuto vigilare ha preferito guardare altrove. Non solo sulla chimica industriale, ma anche sulle infrastrutture costruite sopra materiali di dubbia provenienza, sulle sabbie di fonderia riciclate e interrate sotto autostrade, sulle discariche fallite che diventano tombe chimiche senza custodi. È un sistema che ha funzionato così:
- si produce,
- si smaltisce dove capita,
- si costruisce sopra,
- si tace,
- e si spera che nessuno scavi.
La sentenza Miteni https://drive.google.com/file/d/1dILx1n4J45tSKU3Yt-Dh6-wlw3Rm_tNs/view?usp=drivesdk è un giudizio, sì, ma è anche uno specchio. E nello specchio non si riflettono solo gli imputati: si riflette un’intera filiera di responsabilità diffuse.
Responsabilità e salvezza: basta con la retorica della “crescita”
Per anni, ogni critica veniva liquidata come “ambientalismo ideologico”. Ogni richiesta di trasparenza veniva bollata come ostacolo allo sviluppo. Ogni dubbio sulle sabbie di fonderia, sui materiali di riempimento, sulle discariche improvvisate veniva derubricato a paranoia. Il risultato è sotto gli occhi di tutti:
- infrastrutture costruite su materiali che nessuno vuole analizzare troppo a fondo,
- discariche fallite che nessuno vuole bonificare,
- sostanze come i PFBA che scorrono indisturbate perché non fanno notizia. La responsabilità non è solo degli inquinatori: è di chi ha protetto il loro operato con il silenzio.
Un orizzonte cosmico: il Veneto come laboratorio del “capitalismo dell’occultamento”
Il Veneto è diventato un laboratorio di un modello economico che funziona così:
• si produce ricchezza per pochi,
• si distribuiscono i danni su molti,
• si costruiscono infrastrutture che nascondono sotto l’asfalto ciò che non si vuole vedere.
È un capitalismo che non innova: sotterra. Non investe: copre. Non risolve: sposta il problema più in là, sotto un’autostrada, dentro una discarica fallita, dentro una falda che nessuno controlla davvero. E quando qualcuno chiede conto dei PFBA, delle sabbie di fonderia, dei materiali di riempimento? Arriva il solito ritornello: “Non allarmiamo la popolazione”.
Superare l’antropocentrismo… e l’omertà istituzionale
La crisi ambientale veneta non è solo un problema ecologico: è un problema culturale. È l’idea che il territorio sia una risorsa da spremere, non una comunità da custodire. È l’idea che il profitto giustifichi tutto, anche il silenzio. Superare l’antropocentrismo significa anche superare l’idea che l’uomo — o meglio, alcuni uomini — possano decidere cosa finisce sotto un’autostrada, cosa si scarica in una falda, cosa si può tacere senza conseguenze.
Verso una redenzione ecologica: rompere il silenzio, prima di tutto
Il messaggio escatologico della vicenda Miteni è chiaro: la fine non è inevitabile, ma lo diventa se si continua a tacere. Il Veneto ha davanti due strade. Continuare a coprire, sotterrare, minimizzare, oppure affrontare finalmente ciò che per anni è stato nascosto: i PFBA, le sabbie di fonderia, le discariche fallite, le infrastrutture costruite sopra materiali che nessuno vuole nominare.
La redenzione ecologica non comincia con le bonifiche: comincia con la verità. E oggi, più che mai, il Veneto deve decidere se vuole continuare a vivere sopra ciò che ha sotterrato — o se vuole finalmente guardarlo in faccia.

Nessun commento:
Posta un commento
TU COMMENTI NOI MODERIAMO