La
Regione Veneto con un
comunicato della Struttura di Progetto della Superstrada Pedemontana
Veneta, lanciato dall’agenzia Veneto Notizie, ha precisato
quanto emerso con l’articolo
di VicenzaToday.it. A
nostra volta siamo
costretti a precisare che però in quel comunicato vi sono numerose
e gravi contraddizioni che VicenzaToday.it ha ripreso in un secondo
articolo in occasione del nostro sopralluogo effettuato
ieri e
l’altro ieri.
Abbiamo
verificato
la immediata rimozione dei sacconi e che le operazioni devono
interessare ancora una ampia parte di materiale contaminato che
blocca il tracciato della SPV . Quanto meno il nostro intervento ha
dato una accelerazione al fulmicotone ai lavori di rimozione che ha
effettuato la ditta Vallortigara nel pomeriggio di ieri, ditta della
quale varrebbe la pena di approfondire i trascorsi.
In
particolar modo il
comunicato non tiene in conto delle questioni principali poste agli
assessori Bottacin e Lanzarin in relazione alla presenza dei PFAS nel
territorio di Trissino, soprattutto perché a circa 500 metri a
sud del sito di contaminazione,
nel
2013 il Sindaco del Comune di Trissino Rancan ha ordinato la chiusura
del pozzo dell’acquedotto situato a Oltreagno per inquinamento da
PFAS. Era una condizione
ben diversa rispetto al povero Pfaccio, imprigionato dai Pfas e dai
Pfoa della Rimar, che sono
stati trovati
anche 300 metri a ovest dei sacchi appena di là dell’Agno in un
pozzo spia della Pedeveneta, davanti alle piscine di Trissino in
via Sauro.
Ai
tre amministratori avevamo
posto precise richieste sulle questioni più gravi rispetto al
generale
stato di inquinamento presente a Trissino, riconducibile al
vecchio
sito Rimar, situato nel ex scuderie di Villa Trissino-Marzotto.
Si tratta di un sito dove dalla seconda metà degli anni 50 e fino
alla prima metà degli anni 60 si è iniziato
a produrre
l’Acido Perfluoro Ottanoico(APO). Su questo nessuna risposta,
sembra quasi che il silenzio degli assessori, filtrato dalla
responsabile della struttura SPV, sottintenda che ci si debba
augurare una deviazione della Pedeveneta attraverso il colle di
Trissino, perché la ex Rimar venga al più presto caratterizzata e
bonificata con la stessa rapidità dei rinvenimenti nel tracciato di
SPV.
La
situazione desta notevoli e più gravi preoccupazioni, infatti il
comunicato parla ripetutamente di «materiali
di origine antropica, già alla vista definibile come rifiuto da
destinare a discarica, proveniente da demolizioni»,
di «materiale
inerte»,
di «materiali
interrati derivanti da piccole manutenzione civili (cemento, pali in
cemento per vitigni, coperture) e per l’agricoltura(sacchi di
nylon, contenitori in plastica, ecc.)oltre a frammenti di cemento
amianto molto ridotti»,
e di «rifiuti
derivanti da qualche lavoro di demolizione e agricolo».
Dunque tutti materiali da costruzione per ammissione stessa della
Regione Veneto: questa è però una evidente contraddizione con il
codice
CER
riportato sui sacchi. Abbiamo
documentato
che
le big bag riportano il codice
CER 170503* riferito a terra e rocce contaminate
HP7(sostanze cancerogene), stando invece
alle
dichiarazioni di Regione Veneto che parla
di
amianto derivante da attività umane, il codice CER corretto dovrebbe
essere 170605* per
materiali
da costruzione contenenti amianto.
Quello
che preoccupa di più è il tempo trascorso tra il rinvenimento e lo
smaltimento, quattro anni in cui può essere accaduto di tutto e
possono essere stato
aggiunto
al miscuglio qualunque cosa. In
pratica si è passati da un rifiuto non pericoloso nel 2015 così a
vista, a uno cancerogeno e pericoloso per la salute nel 2017. E’
una questione non indifferente e
con risvolti gravi, soprattutto
se non si mostrano le carte. La
definizione del codice è compito del produttore o del gestore del
cantiere, che si attiva in coordinamento con ARPAV. Si vuole far
apparire uno stop di 4 anni nel trattamento del materiale sversato,
come normale.
Viene citato il decreto commissariale n. 61 del 6 aprile 2016, senza
fornire però quello che SIS impone agli espropriati negli accordi di
acquisizione delle proprietà: vale adire la
matrice suolo, cioè
l’atto
tecnico citato in ogni contratto di accordo bonario con gli
espropriati e posto a carico loro in caso di rinvenimento di
rifiuti.
Insomma
una toppa che ha allargato la falla delle informazioni, anche se
l’ing.
Pellegrini oggi si è precipitata sul posto dove ha tenuto una
conferenza stampa. Sbrego ancora più grande se si considera la
quantità di amianto totale, stando alla concentrazione dichiarata di
100mg/kg nei 270 mc contaminati secondo Pellegrini. Questi
corrispondo in ogni saccone (da 1mc di terra umida) a 1800kg,
ottenendo circa 180 g di amianto per sacco, essendo questi 270, si
ottiene una stima totale di amianto pari a 48,6 kg, cioè poco meno
di 5 mq di lastre. È lecito dunque chiedersi perché per smaltire 5
mq di amianto si devono rimuovere 270 mc di terreno? Perché si
decuplicano le spese di smaltimento all’inverosimile per questo
sito? Noi crediamo che sia il caso di interrogarci se non ci sia
dell’altro.
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