sabato 7 giugno 2014

Tangentopoli veneta, comitati: indagare su Pedemontana e ospedale Santorso


Di Pietro Rossi il 07 giu 2014 TRATTO DA LA NUOVA VICENZA 
L’inchiesta sul Mose è solo la punta dell’iceberg di quello che viene chiamato da anni il “sistema Galan”? Se così fosse, questo sistema ha il suo cardine nel project financing, l’operazione con la quale i privati entrano nelle opere pubbliche finanziandole e ottenendo poi un ritorno sugli investimenti con tanto di interessi. Molte infrastrutture in Veneto sono state realizzate o sono in via di realizzazione con questo metodo. Due di esse in particolare, la Pedemontana Veneta e l’ospedale di Santorso, contestate da tempo da comitati che da sempre segnalano irregolarità, potrebbero essere il secondo capitolo dell’inchiesta partita dal Mose. Il vaso di Pandora scoperchiato dai magistrati veneziani sta dando ragione a chi fino a oggi ha denunciato situazioni a dir poco oscure?

«Dalle carte dell’inchiesta ho visto che tra gli arrestati e gli indagati ci sono le stesse persone che hanno costruito e messo in piedi il project financing per l’ospedale di Santorso – spiega Pietro Veronese dell’associazione Communitas di Schio – ma noi sono anni che denunciamo questo sistema, anche attraverso degli esposti alla Corte dei Conti». L’ospedale di Santorso è stato costruito in project financing per volontà della giunta presieduta da Giancarlo Galan, che aveva bocciato un progetto di ristrutturazione degli ospedali esistenti a Thiene e Schio che costava 63 milioni di euro. Costo attuale in project? Più del doppio: 143 milioni. «Il nostro esposto riguarda due aspetti – aggiunge Veronesi – il primo denuncia il possibile reato di usura, visto che i canoni che paga l’Ulss ai privati per l’ospedale hanno un interesse del 20% (nel 2007 l’interesse considerato di usura era del 10,5% ndr) mentre il secondo segnala che, secondo la nostra analisi, in realtà l’affidamento dei lavori non è un vero e proprio Project ma una sorta di appalto». La Corte dei Conti sta indagando proprio su queste due direttrici e, secondo l’associazione Communitas, i magistrati hanno aperto un filone sugli ospedali veneti scorporandoli dall’inchiesta del Mose. L’indagine riguarderebbe principalmente l’ospedale di Mestre e, appunto, quello di Santorso, costruito da una cordata di imprenditori sotto la sigla “Summano Sanità” (studio di progettazione Altieri, vicino a Lia Sartori). Il 25% delle quote della Summano sono di Mantovani spa, un altro 25% di Palladio Finanziaria, il 24,9% di Gemmo spa, poi al 18% C.M.B. di Carpi. I manager a capo di alcune di queste imprese – Mantovani (Piergiorgio Baita) e Palladio Finanziaria (Roberto Meneguzzo) – figurano tra le carte dell’inchiesta veneziana. «A questo punto – conclude Veronesi – ci aspettiamo sia fatta chiarezza: da anni chiediamo il contratto del project e non l’abbiamo mai visto. Se le indagini proveranno che le nostre ipotesi sono vere, ci auguriamo che questo faccia saltare un contratto che succhia risorse alle Ulss e quindi ai cittadini».
Due querele contro ignoti, una per falso e una per truffa sono invece i punti sui quali si concentra la lotta del CoVePa, comitato che si batte contro l’attuale cantiere della Pedemontana Veneta. Le denunce riguardano un sistema relativo agli espropri che proprio in questi giorni stanno per essere resi esecutivi sui terreni interessati dal completamento della superstrada. «Questi espropri sono strani – spiega Massimo Follesa, portavoce CoVePa – perché oltre a essere misteriosamente aumentati rispetto al progetto originale, li stanno facendo in fretta e noi crediamo sia perché in qualche modo qualcuno sapeva che sarebbe scoppiata la vicenda Mose e ha voluto accelerare i tempi forse pensando ad un imminente indagine». A parte il fatto che la costruzione della Pedemontana Veneta è stata avviata con il sistema del project financing – dal costo di 2,3 miliardi, raddoppiato rispetto al progetto iniziale e che ha sostituito il vecchio piano di 600 miliardi delle vecchie lire – anche su quest’opera ritroviamo molti nomi dell’affaire Mose. Tra questi, Piergiorgio Baita, l’amministratore delegato della Pedemontana Spa (società inizialmente incaricata alla realizzazione) e Giuseppe Fasiol, dirigente regionale delle infrastrutture, che ricopriva il ruolo di “tattico” per l’avvio dei lavori dell’opera. «Nel fascicolo del giudice sul Mose qualcosa mi fa supporre che attraverso il meccanismo delle tangenti si è controllato il sistema di tutte le infrastrutture venete, con un filo rosso che si estende agli ospedali e alla viabilità della regione», aggiunge Follesa. E conclude: «Sulla Pedemontana quello che bisogna chiarire ora e subito è il sistema degli espropri, avviati con la scusa dell’urgenza da Galan e supportati da Zaia, espropri che adesso, tra le altre cose, stanno mettendo in ginocchio i coltivatori: quando verranno ripagate le piantagioni di mais che stanno per essere distrutte per far posto alla superstrada?»

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