mercoledì 9 luglio 2014

Ambiente. Decreto 91, è molto peggio...


Se qualcuno/a aveva dei dubbi, dove andava a parare l'enfasi legislativa sulle bonifiche dei siti contaminati, dopo la lettura di questo articolo capirà che le nostre notizie di prima mano, su una legge che sarà peggiorativa di quella esistente, trovano un'ulteriore conferma. 
Altro che rivoluzione silenziosa. Qualcuno sta facendo una controrivoluzione ambientale devastante. è ora che lo si capisca e si prendano le contromisure necessarie. (NDR)
dal blog http://danielebarbieri.wordpress.com/


… di quel che si credeva
comunicato del Cnsc (Coordinamento Nazionale Siti Contaminati)
Siti inquinati e bonifiche. «Chi ha avut’ ha avut’ chi ha dat’ ha dat’ scurdammec ‘o passat’» con il Decreto “Inquinatore protetto”.

Non basta il caso dei poligoni equiparati ad aree industriali, il decreto 91/2014 nasconde una sorpresa ancora più amara per le aree inquinate, da Taranto a Crotone, dal Sulcis a Bussi, da Falconara a Mantova, da Trieste a valle del Sacco e altri migliaia di siti.
Comitati e movimenti: altro che semplificazione, si tratta della completa privatizzazione delle bonifiche e della salute delle persone.
Appello ai Parlamentari: superare le criticità in sede di conversione in legge.
Il recente decreto 91/2014, pubblicato il 25 giugno sulla Gazzetta Ufficiale, sarà ricordato come una delle più lucide operazioni di rimozione “sulla carta” dei problemi di contaminazione dei siti inquinati; più che un decreto «Ambiente protetto» come è stato incautamente definito dal ministro è una norma “Inquinatore-protetto”.
Partito, secondo le dichiarazioni del ministro Gian Luca Galletti, con il positivo intento di semplificare le farraginose procedure delineate dal Testo Unico dell’Ambiente (D.lgs. 152/2006) si è trasformato in un vero e proprio invito a nascondere la polvere inquinata sotto il tappeto. Dopo il caso dei poligoni militari trasformati in aree industriali per alzare i limiti di legge per la contaminazione dei suoli, il decreto contiene una norma ancora più grave che riguarda tutti i siti inquinati italiani, anche quelli ancora da scoprire.
In un paese dove le notizie sulla corruzione nel mondo dei rifiuti e delle bonifiche sono all’ordine del giorno, si demanda tutto al privato in un vero e proprio far west dove a rimetterci sono solo le comunità che vivono nelle migliaia di luoghi inquinati del Paese.
La norma prevede che il primo passo sia fatto dall’inquinatore (o dal proprietario dell’area inquinata) che presenta direttamente un progetto di bonifica autocertificando la veridicità dei dati della contaminazione, senza alcun controllo, anche a campione, da parte dell’ente pubblico.
In questa fase emerge un primo problema: come farà l’ente pubblico a verificare l’esatta estensione della contaminazione, visto che è lecito attendersi dai privati una sottovalutazione del reale stato di inquinamento (a esempio: si seguirà tutto il corso di un fiume per scoprire l’area esatta interessata dall’inquinamento partito da una fabbrica posta a monte?).
A quel punto la procedura prevede una rapida approvazione da parte dell’ente pubblico del progetto di bonifica (90 giorni; ricordiamo che il ministero dell’Ambiente per i Siti nazionali di bonifica convoca le conferenze dei servizi se va bene con una media di una l’anno per sito).
Approvato il progetto, il privato realizza la bonifica. Solo a quel punto presenta un programma di analisi (il cosiddetto Piano di caratterizzazione) delle aree su cui si è intanto intervenuti. Il Piano deve essere esaminato, prima della sua realizzazione, dagli enti pubblici in 45 giorni e vale il silenzio-assenso.
Qui si pone un secondo problema. Dice un detto «chi cerca trova, chi non cerca non trova». Le sostanze tossiche sono centinaia e attualmente ci sono criteri minimi per cercare un certo numero di queste sostanze sulla base delle lavorazioni che hanno interessato il sito. Questo decreto invece dà la massima libertà ai privati di scegliere quali sostanze cercare. Considerando che i costi di analisi e bonifiche sono strettamente collegati al tipo di sostanze, ci si può aspettare che i privati provino a presentare piani di caratterizzazione minimali con pochissime sostanze. Poiché queste scelte spostano decine di milioni di euro, si potrà immaginare la pressione per far decorrere inutilmente quei 45 giorni in modo tale da avere il silenzio-assenso, sollevando anche gli enti da qualsiasi responsabilità in caso di mancata risposta.
A questo punto si fanno le analisi vere e proprio per vedere se la bonifica è stata efficace e, finalmente, si prevedono le contro-analisi da parte dell’Arpa locale. Ma su cosa? Ovviamente solo sui parametri indicati dal privato. Inoltre attualmente le Arpa fanno le contro-analisi solo sul 10% dei campioni. Insomma, ci sarà un’altissima probabilità di avere bonifiche solo sulla carta.
La caratterizzazione a valle e non a monte porta con sé altri gravissimi problemi di carattere ambientale, sanitario e giudiziario. Infatti oggi la caratterizzazione realizzata dal privato in contraddittorio con gli enti fin dall’inizio della procedura permette di valutare l’esatta estensione della contaminazione, mentre con questo decreto il privato potrà presentare un progetto solo su piccole aree o almeno ci proverà. Sarà compito dell’ente pubblico in pochissimi giorni e su aree estremamente complesse (in cui di solito ci vogliono anni per capire bene la reale estensione della contaminazione) valutare se possono esistere altre aree limitrofe potenzialmente inquinate, senza avere strumenti reali per fare ipotesi in tal senso (a esempio, l’accesso e la consultazione degli archivi sulle produzioni).
Dal punto di vista sanitario e giudiziario si perde la sicurezza sul reale stato di contaminazione a cui sono stati esposti magari per decenni i cittadini. La popolazione che vive in un’area inquinata (ma anche i ricercatori che devono valutare l’esposizione a inquinanti e le eventuali conseguenze) dovranno basarsi sui dati dei privati per capire se sono stati esposti a pericoli per la salute.
Si arriva al paradosso che se un cittadino volesse chiedere i danni sanitari al privato inquinatore dovrebbe basarsi sui dati presentati proprio da chi ha devastato l’ambiente rendendolo pericoloso. Una volta avvenuta la bonifica faranno fede solo i dati dei privati, per carità, “autocertificati”. Ma viene spontaneo chiedersi: quale privato, quale multinazionale autocertificherà mai l’esistenza di uno stato di inquinamento per il quale potrebbe essere chiamata a rispondere per danni nelle aule dei tribunali?
Fra l’altro è incredibile che non vi sia alcun accenno ai doveri di trasparenza e pubblicazione di progetti e dati integrali, nonché della partecipazione dei cittadini ai procedimenti.
Singolare, infine, il fatto che la norma abbia la scadenza, il 2017, come se si trattasse di uno yogurt.
Questa previsione è però rivelatrice del reale intento del Governo. Sulle bonifiche appare evidente la volontà di mettere definitivamente sotto il tappeto le scorie di un passato in cui il sistema industriale italiano programmaticamente cercava di stare sul mercato sotterrando i rifiuti per non pagarne i costi. Ora che la realtà sta venendo a galla con manifestazioni e lutti, lo stesso sistema industriale chiede di non pagare i danni miliardari secondo il principio “Chi inquina paga”.
Per queste ragioni chiediamo ai parlamentari di intervenire in sede di conversione in legge del decreto al fine di superare le criticità che evidenziamo:
- sulla trasparenza e informazione dei cittadini durante il procedimento;
- sulla definizione di criteri minimi rispetto ai dati di partenza necessari per redigere il progetto di bonifica e il piano di caratterizzazione;
- sulla certificazione a campione di questi dati di contaminazione di partenza da parte delle agenzie regionali;
- sulla modifica del criterio del silenzio/assenso per l’approvazione dei piani di caratterizzazione.
Ciò che chiediamo, invece, al Governo è un Piano generale per le bonifiche, che preveda innanzitutto un potenziamento e una riqualificazione delle strutture di indagine ambientale e di controllo (Ispra e agenzie locali con organici adeguati e resi indipendenti dalla politica), un finanziamento consistente per i cosiddetti “siti orfani” a causa del fallimento delle imprese inquinatrici, un rafforzamento degli strumenti giuridici e amministrativi per applicare con efficacia il principio “chi inquina paga” e infine un sistema trasparente di informazione dei cittadini interessati che dia conto di tutti i dati.
Solo in questo contesto potrebbe giustificarsi un intervento per semplificare le procedure, intervento che così come configurato a oggi nel decreto 91/2014 si tradurrebbe in una potenziale sanatoria regalata agli inquinatori.

dal blog http://danielebarbieri.wordpress.com/

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