domenica 6 luglio 2014

QUELLO CHE SAPPAMO DI SPV=MOSE LO DOBBIAMO AL LAVORO DI POCHI. A loro diciamo grazie.

LI CHIAMANO FREELANCE luglio 2, 2014 · di Paolo Sibilio

Li chiamano freelance, sono giornalisti, grafici, informatici, ma per il mondo economico sono carne da macello, agrumi da spremere e poi gettare. Sono giovani bravi nel loro lavoro che danno il massimo in ciò che fanno ma che ricevono il minimo. Li chiamano e si fanno chiamare freelance che in italiano si traduce in precari. Si, in italiano perché nel resto del mondo Freelance si traduce in “lancia libera”, guerriero indipendente, mercenario. Sono usati dai giornali per fare il lavoro sporco quello che i professionisti si rifiutano di fare: le inchieste scomode, le interviste vere, dove la domanda e la risposta non sono concordate.

Sono i grafici che se realizzano il logo della Coca-Cola vengono pagati cento dollari; sono l’interprete come Clare Torry della canzone di The Great Gig in the Sky dei Pink Floyd che, con un compenso di appena trenta sterline, ha cantato la canzone che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. Sono geni, scrittori, musicisti, artisti: quello che di meglio questo mondo può offrire al mercato economico, quello che di meglio il mercato usa e poi getta.

Sono bravi? Si! Sono liberi? Forse! Sono sfruttati? Certamente! E fra poco, almeno nel giornalismo, lo saranno per legge. Quanto può guadagnare un giornalista? Se sei Bruno Vespa, fino ad un milione e duecento mila euro l’anno, se sei un freelance fino a seimila ero lordi. Venti euro a “pezzo”, trenta righe, meno della dattilografa che li batte a macchina, meno del tipografo che li stampa, meno del giornalaio che li vende, meno dell’operaio che li legge, meno dello spazzino che li raccoglie. Li leggiamo sui giornali, nel blog, nei social network. Ci tengono informati su ciò che ci accade intorno che è spesso quello che i Bruno Vespa ci nascondono.Sono giovani, smaliziati, qualche volta idealisti: credono che il mondo si possa cambiare, nei loro occhi leggi l’entusiasmo di chi sa che può farcela, di chi sa che le cose possono cambiare, di chi non sa che non è così. Sono dinamici e per questo i migliori, si lanciano nel vuoto, al buio o almeno ti fanno credere che sono disposti a farlo.

Il mercato, l’uomo nero, lo sa. Si ciba di questo, si ciba del loro entusiasmo perché vuole apparire ciò che non è: buono. Gli hanno fatto credere che è sempre stato così: bisogna fare la gavetta. Bisogna sacrificarsi, tutti i più grandi giornalisti hanno fatto gli inviati o i corrispondenti: Montanelli, Biagi, perfino Vespa e la Grubel. Un “lancio di Agenzia” viene pagato poco più di 3 euro, anche se la notizia è che oggi è la fine del mondo. Il pericolo è che conviene tacere, come ci ha insegnato Corona, come tragicamente non aveva capito Ilaria Alpi.

Oggi la comunicazione è tutto, regola la nostra vita, i nostri soldi, il nostro benessere. Se non si vuole far mangiare carne per i prossimi tre mesi basta diffondere la notizia che c’è stato un caso di “mucca pazza” in un allevamento toscano, un caso di aviaria in uno stabilimento di polli e così via.

Qui prodest? Come fai a tenere in un campo di concentramento 15 mila o 20 mila prigionieri, con appena 100 al massimo 200 soldati? Gli dai un pezzo di pane al giorno, tutti i giorni, a tutti. Ne dai due a chi ti controlla la camerata, tre a chi ti distribuisce il pane, quattro a chi ti apre le docce, cinque a chi ti raccoglie i cadaveri, sei a chi te li seppellisce. Sempre che sappiano lavorare, sempre che siano fedeli, sempre che facciano ciò che gli ordini di fare, anche di morire. I cento soldati ti serviranno allora solo per contarli, solo per intimidirli. E’ il pane, il tozzo di pane che li rende schiavi come i venti euro che prevede li nuovo contratto del Sindacato Unico dei giornalisti che in questi giorni si sta apprestando a firmare.

Cosa c’entro io con questa storia? niente ma non posso pensare che in un mondo libero se queste poche righe fossero pubblicate in prima pagina sul maggior quotidiano nazionale non varrebbero l’inchiostro necessario a stamparne una copia.

Abbiamo scelto di cibarci dall’albero della conoscenza e per questo siamo stati cacciati dal Paradiso Terrestre. Lo abbiamo fatto spinti da una donna, Eva la prima donna, ma vi assicuro ne è valsa la pena.

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