giovedì 5 dicembre 2013

VENETO CEMENTO SPA

La recente manifestazione veneziana dei comitati «no grandi opere» ha rimesso in discussione il sistema delle super commesse finanziate anche dallo Stato. [ l'approfondimento di Marco Milioni TRATTO DA www.globalist.it]
di Marco Milioni

Quando a metà settimana il deputato padovano Alessandro Zan (Sel) ha scodellato un piatto farcito da un durissimo j'accuse sulle maxi commesse nel Veneto, la politica regionale, già in ambasce per la manifestazione di sabato scorso a Venezia contro le grandi opere, è entrata in fibrillazione.

Zan infatti attacca ad alzo zero Silvano Vernizzi il super-dirigente che tra i mille incarichi regionali ne conta anche uno governativo. È infatti il commissario straordinario alla realizzazione della Pedemontana Veneta, un'opera da poco «cantierata» che dovrebbe connettere Montecchio Maggiore nel Vicentino a Spresiano nel Trevigiano, e che dovrebbe costare 2,3 miliardi per un tracciato di 90 kilometri. L'arteria è contestata non soltanto da un punto di vista ambientale ma anche da quello economico. Poiché a fronte di uno «sbandierato investimento» pressoché a carico dei privati (il consorzio italo spagnolo Sacyr-Dogliani), «non è ancora dato sapere quale sarà l'impegno a carico di enti locali e governo». Zan, che come alcuni parlamentari del M5S, aveva chiesto copia del contratto che regola la convenzione pubblico-privato, si è visto dire no da Vernizzi. Il quale sostiene che il richiedente non abbia titoli per avanzare domande di questo tipo. Sicché l'onorevole, contrariato per il diniego, ha inviato al referente governativo una formale messa in mora condita con la promessa di denunciare tutto alla procura di Venezia se i documenti non salteranno fuori. «Anche in ragione del fatto - spiega il deputato - che Pedemontana Veneta o Spv che dir si voglia, ha già beneficiato di cospicui stanziamenti statali».

In realtà il tiramolla sulle carte, come il corteo di un un paio di migliaia di manifestanti che sabato, dopo la chiamata dei Beati Costruttori di Pace, ha attraversato le calli di una Venezia, ventosa, fredda e luminosa, è solo la tessera di un mosaico molto più complesso. Se si parla di grandi commesse la parola Veneto fa anzitutto rima con Mose, il sistema di paratie che dovrebbe proteggere la città di Marco Polo dalle aggressioni degli elementi marini. L'opera da cinque miliardi di euro è in via di costruzione grazie ad una serie di leggi speciali che aggirano ogni gara di evidenza genuinamente pubblica. L'anomalia di tanto in tanto salta fuori, unitamente alle inchieste dei media e a quelle della magistratura che recentemente hanno portato al clamoroso arresto di Giovanni Mazzacurati (area Pd), ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, il soggetto abilitato per legge a gestire in esclusiva assoluta l'enorme flusso di danaro pubblico fatto confluire in anni verso il Mose. Nel medesimo consorzio l'impresa di spicco è la Mantovani, il cui ex presidentissimo Piergiorgio Baita, per una vicenda parallela di frode fiscale, probabilmente concepita con la finalità di reperire nero per le mazzette (questa è almeno una ipotesi al vaglio degli inquirenti) era pure finito dietro le sbarre sempre su input della procura veneziana.

Ma la semplice cronaca giudiziaria quotidiana da sola non basta a fornire il quadro complessivo. Recentemente il governo ha detto sì ad un'altra opera miliardaria. Si tratta della Venezia Orte, fortissimamente voluta dal chiacchieratissimo ed ex Udc Vito Bonsignore. Nello stesso cesto va conteggiata poi la Valsugana bis, ancora in nuce e ancora prevista con il meccanismo della finanza di progetto, o project financing: un investimento che nominalmente il privato affronta da solo e che dovrebbe ripagarsi col pedaggio. L'opera forando il Monte Grappa dovrebbe congiungere San Nazario, una località nel Vicentino a nord di Bassano del Grappa, a Castelfranco Veneto nella Marca trevigiana. Il prezzo stimato è di 800 milioni di euro per un tracciato di una decina di kilometri. Fra i proponenti c'è la solita Mantovani da anni indicata, assieme ai gruppi Gemmo, Maltauro e Altieri progettazione, come nell'orbita stretta dell'ex governatore azzurro Giancarlo Galan nonché della potentissima europarlamentare forzista Lia Sartori; non a caso in circostanze del genere si parla espressamente di sistema Galan. Labancabilità dell'opera è garantita invece da un nome di primissimo piano della « finanza rossa» come Mps, da mesi finito in un vortice giudiziario senza precedenti nel Paese.

Tuttavia l'elenco delle super-commesse in project financing nella terra che fu della Serenissima non è finito. A fine novembre la giunta regionale veneta ha annunciato l'ok di massima a due nuovi progetti: la Nogara Mare e la Padana inferiore che in realtà costituiscono un unico asse concettuale che dovrebbe connettere la parte inferiore dell'autostrada del Brennero a ridosso della bassa veronese del Mantovano con lo sbocco a mare in provincia di Rovigo. Anche in questo caso la partita vale un paio di miliardi che si sommano al resto del plafond, escludendo altri progetti relativamente meno corposi, portano ad una cifra di una decina di milardi: quasi venti se si considera tutta la Mestre Orte, che ovviamente attraversa più regioni.

Ad ogni buon conto le opacità non mancano. Se l'affaire Mose-Mantovani ha più volte fatto il giro dei media nazionali, anche perché si parla di una tela a protezione di possibili indagini degli inquirenti, tessuta illecitamente da uomini delle forze dell'ordine, dei servizi e da un altissimo papavero della Guardia di Finanza, un generale per la precisione, dall'altra ci sono le eco del passato. Oltre a Mantovani a urtare la sensibilità degli attivisti c'è il gruppo Maltauro. Il quale negli anni '90 era finito nel gorgo di Tangentopoli, mentre negli anni Duemila era rimasto travolto dall'affaire Marghera e dallo scandalo dei rifiuti tossici depositati sulla terraferma lagunare.

E non è finita giacché sabato a Venezia, ma le critiche proseguono da mesi, non sono mancate le proteste dei comitati che si oppongono alla Valdastico Nord e alla Valdastico Sud (entrambi i tronconi, pur concepiti senza il project financing, godono dell'appoggio di Pdl, Lega e Pd). La prima dovrebbe assicurare il collegamento fra Vicenza e Rovereto, ma i trentini sono fermamente contrari ad un'opera che, sostengono, non si ripagherà mai coi pedaggi e che presenta criticità straordinarie giacché intersecherebbe una antichissima frana, la Marogna, con prospettive di rischio «non sostenibili».

Tanto che nelle dell'Astico già si parla di pericolo «Vajont 2». Diverso invece è il capitolo della Valdastico Sud, in stato molto più avanzato che connetterà Vicenza a Badia Polesine in provincia di Rovigo. In questo frangente è intervenuta addirittura la procura Antimafia di Venezia che sta indagando su una serie presunte gravi irregolarità ambientali che si sarebbero concretizzate nel deposito di scarti di fonderia sotto il sedime stradale: il che avrebbe provocato il rilascio nel terreno di sostanza pericolose e nocive. Nel mare magnum della inchiesta a finire tra le ditte indagate ce n'è una che ha creato imbarazzi in Regione. È la Coseco di Lozzo Atestino in provincia di Padova. L'amministratore unico, Luigi Persegato, altri non è che il fratello di Sandra, ovvero la moglie di Galan. Per di più ad una analisi approfondita dei documenti camerali che riguardano la Coseco, una ditta di movimento terra con una sede grande poco più di un garage, emerge che questa è controllata da un misterioso «Milus Trust» all'apparenza estero. Chi ci sia dietro quel soggetto anonimo Persegato non ha mai voluto rivelarlo. Gli inquirenti potrebbero invece saperlo. Questa clamorosa notizia per di più, a parte qualche voce sparuta, sia sui media sia in ambito politico, nel Veneto come a livello nazionale, ha avuto una eco pari a zero.

E ancora, i segnali che qualcosa di opaco si stia incrostando a ridosso del passaggio delle grandi infrastrutture, sia che queste siano sulla carta sia che queste siano alla fase del cantiere, lo si evince da quanto capitato quest'estate ad Antonino Casale a Castelgomberto in provincia di Vicenza. La sua azienda agricola è interessata ad uno dei passaggi più delicati della Pedemontana Veneta. Di più Casale è noto in paese per avere ottenuto in una col suo comitato, un vincolo tombale sui terreni della vicina villa Da Schio, che non dista molto da una delle aree di snodo della Spv. Alla fine di agosto l'uliveto di Casale ha subito «un attacco incendiario mirato». In vallata, ma non solo si è parlato immediatamente di intimidazione dal sapore mafioso in relazione ai possibili appetiti milionari che la partita fondiaria sugli svincoli potrebbe generare; il tutto mentre i carabinieri sono stati formalmente investiti delle indagini.

«Sarebbe però un errore - spiega l'architetto vicentino Massimo Follesa, consulente tecnico e portavoce del Covepa, il coordinamento dei soggetti che si batte contro l'attuale tracciato della Spv - considerare i casi singolarmente. Il vero filo rosso è la nuova legge urbanistica che a ridosso dei caselli o delle grandi intersezioni vuole sottrarre la potestà urbanistica ai comuni. Chi ci garantirà che proprio la regione lì, in un futuro a medio termine, autorizzerà discariche, inceneritori, quartieri dormitorio, shopping centre o ecomostri assimilabili? Il cielo non voglia - prosegue Follesa - che in una strategia tesa a ridurre il peso della manifattura, locale e italiana, il Veneto non sia predestinato, in forza dei numerosi assi di penetrazione in progetto, a diventare una sorta di terra dei fuochi, un Casertano allargato a servizio dei reflui e delle porcherie di mezza Europa del Nord».

Nel medesimo solco gli fa eco il collega rodigino Carlo Costantini, uno degli esponenti di Altrove, il coordinamento di associazioni che con oltre diecimila osservazioni ha obbligato la giunta regionale, un tempo capitanata da Galan e ora capitanata dal leghista Luca Zaia, a mettere in ghiacciaia quella parte del nuovo piano urbanistico regionale, il Ptrc; il quale prevedeva la deregulation denunciata da Costantini e altri. Quest'ultimo però se la prende anche con le norme regionali già vigenti che di fanno hanno acconsentito «che i progetti strategici diventassero appannaggio di pochi intimi in discussioni organizzate durante cene o incontri privati, mentre il ruolo dell'istituzione veniva relegato a mero notaio di scelte compiute in precedenza».

Va da sé che una interpretazione di questo genere non potrebbe trovare sostanza se non ci fosse una predisposizione di base da parte di una vasta porzione delle forze politiche. Così almeno la pensa Francesco Celotto, uno degli attivisti più noti del M5S, da mesi impegnato contro le grandi. Celotto, per un soffio non eletto a palazzo Madama alle recenti politiche, vede nel quadrilatero «Pd, Pdl, Lega, con i loro progenitori, in una con i vertici delle categorie economiche e le cosiddette coop rosse» il recinto nel quale si è consumato lo scempio ambientale di un Veneto «cementificato per una quota tripla rispetto alla media europea». Quando Gian Antonio Stella sul Corsera di lunedì ha ricordato il dato per l'ennesima volta «i corifei dell'establishment veneto non hanno proferito verbo, segno evidente - attacca duro Celotto - che la loro posizione sulle grandi commesse è ideologica, preconcetta, indifendibile e foriera di interessi privatissimi». L'esponente grillino prosegue e ricorda che a capo del Consorizio Venezia Nuova, nel decennio 1985-1995 vi fu Luigi Zanda, attuale capogruppo Pd in Senato. «La abnorme anomalia di quell'ente - sottolinea l'attivista - mai ha chiamato allo scandalo il gotha dell'ex Pc veneto e nazionale. Segno evidente che quello è un santuario di interessi che per certuni non va vìolato in alcun modo».

Un pensiero non molto diverso da quello di Oscar Mancini, volto storico della Cgil e di Legambiente Veneto, che usando un linguaggio più diplomatico parla di una regione che paga duramente il fio alle grandi opere declinate con il verbo «della rendita parassitaria» a fronte di tanti piccoli e grandi interventi dimenticati, a partire da quelli idraulici, «che oltre a dare lavoro diffusamente aiuterebbero l'ambiente e il benessere di tutti, anche sul piano economico».

Messa agli atti una analisi di questo tenore però un quesito nasce spontaneo. La condotta dei veneti, o di una parte dei veneti, condotta che ha portato in dote le cifre squadernate in anni di analisi e contro-analisi, sono rintracciabili solo in un approccio discutibile alla res publica, giacché soggiogato all'interesse particolare, o c'è qualcosa di più profondo che va preso in considerazione?

Ai primi di dicembre l'Esagono, un blog di discussione sui temi del paesaggio nell'Ovest Vicentino ha puntato duramente l'indice verso la deregolamentazione passata da poco in regione in relazione al cosiddetto piano casa bis. Un pacchetto di stimolo all'edilizia che a detta di molti, inclusa la minoranza democratica in aula, oltre a togliere le potestà normative ai comuni prepara il terreno per speculazioni colossali. E su quel blog, in un post del due dicembre si legge: «Ma gli intrallazzi e gli assalti all'ultima diligenza da soli non bastano a spiegare la ferita profonda procurata al Veneto da sé medesimo negli ultimi quarant'anni. Un atteggiamento tanto vessatorio nei confronti dell'ambiente non si spiegherebbe se le classi dirigenti non avessero trovato nella popolazione un soggetto tutto sommato ben disposto nei confronti di questi cambiamenti. Una accondiscendenza che si può e si deve spiegare con l'approccio che i veneti hanno scelto per fare i conti con un passato di povertà dignitosa, che al posto di essere ricordato con sincero orgoglio, è stato sepolto nei piloni di cemento di capannoni, autostrade e improbabili villette. Una furia metodica, diabolica, sorda, silenziosa, ipocrita, basti pensare al continuo richiamo alle tradizioni, che in nome di un passato da cancellare ha confuso, volutamente, il meglio con il di più».

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