In queste ultime settime negli imprenditori dell’ovest vicentino hanno rilanciato il tema dell’apertura della Pedemontana Veneta in Valle dell’Agno. Sono state riferite pesanti lamentele da parte del mondo dell’impresa locale sul ritardo dell’apertura della tratta Castelgomberto-Montecchio-A4. L’apertura slitterà di un anno almeno, se non due secondo le dichiarazioni alla stampa dell’ingegner Pellegrini delegata da Zaia alla costruzione dell’opera affidata alla SIS dei Dogliani.
L’intervento della Unione Europea
Nessuno deve permettersi di attribuire ai comitati questo ritardo. Noi con i ritardi del cantiere, legate anche alle omissioni ambientali nell’area SIC Natura 2000 delle Poscole, non c’entriamo! Il cantiere si è stato bloccato di recente perché ha violato le norme ambientali del diritto europeo e la Comunità Europea ha imposto il rispetto delle regole chiedendo al Governo Italiano di provvedere, attraverso la procedura riservata EU Pilot, a ripristinare le aree con vincolo ambientale speciale sopra alla galleria tra Cornedo e Castelgomberto. Oltre a questo ci si sono messi i PFAS sversati dal cantiere: questione mai verificata fino in fondo, in primo luogo dal Comune di Castelgomberto. D’altra parte non capiamo cosa si aspetti a chiedere il pagamento delle penali dopo oltre un anno dalla mancata conclusione dei lavori previsti per il settembre 2020 nella convenzione del 2017 voluta da Zaia.
Inoltre i ritardi sarebbero legati alle operazioni di collaudo delle opere della superstrada tra Castelgomberto e Montecchio, soprattutto in relazione agli interventi della magistratura vicentina negli anni appena passati sulla carenza di certificazione tecnica di alcuni materiali importanti per la costruzione delle gallerie naturali. Riteniamo che i ritardi siano legati proprio alla necessità di queste certificazioni dei materiali, che la SIS deve ottenere per il collaudo delle opere del tratto della Valle dell’Agno. Sono atti che richiedono un certo tempo e che sono indispensabili per poter aprire, soprattutto per la galleria costruita a Trissino, che ha impiegato gli stessi materiali sequestrati in quella di Malo-Castelgomberto.
La linea d’ombra in cui si opera nei cantieri di SPV
Vi è poi il fatto incontrovertibile che il cantiere di Pedemontana Veneta ha spostato di alcuni chilometri a nord, rispetto al sito di Miteni, la presenza dei PFAS nella valle. Come ha messo in luce VicenzaToday.it , e alcuni quotidiani nazionali è emerso che secondo ARPAV, i composti di ultima generazione(PFBA) sarebbero impiegati nelle miscele delle gettate, nelle gallerie e nelle trincee. Questi sono presenti nell’esecuzione dei consolidamenti tramite jet-grouting, realizzati come fondazione delle opere interrate, decine di metri sotto al piano campagna e in falda: in pratica per decine di metri sotto alle trincee e agli imbocchi dei tunnel e nelle Poscole, si inietta cemento a presa rapida direttamente a contatto con la falda. Sono questioni preoccupanti a nostro giudizio per alcuni ordini di pensiero: il primo è che non si devono usare i PFAS per creare un polverone per nascondere i problemi del tunnel e dei materiali per costruirli, il secondo è che i PFAS dimostrano che il cantiere del tunnel della SPV continua a lavorare nella linea d’ombra del lecito e dell’illecito. Vi è poi il fatto che se i derivati dei PFAS in edilizia sono impiegati nella galleria e in particolare nei prodotti acceleranti la presa dei getti in calcestruzzo, questi possono essere presenti con tutta probabilità in tutte le trincee della SPV. Con le gallerie queste si estendono per quasi 70 km dei 95 km di tracciato, e possiamo sostenere che gli acceleranti a base di PFAS sono presenti in tutto il tratto di SPV, perciò il problema può essere riscontrato da Spresiano a Montecchio Maggiore.
La VIA Nazionale manca ancora
Questi aspetti sono stati omessi del tutto nella valutazione di impatto ambientale. Non emergono neppure nelle conclusioni del Commissario Vernizzi, nonostante sia stato a conoscenza dei PFAS in SPV dal 2014, tanto da richiedere una variante per il tratto sud di Miteni, a Ghisa di Montecchio Maggiore. Questa è una questione delicatissima, poiché la valutazione di impatto ambientale non è mai stata verificata dalla Commissione Nazionale del Ministero dell’Ambiente. Vale la pena di richiamare questo punto alla luce dell’impatto dei PFAS sull’opera.
I risultati del comitato di Palazzina e il rischio Vajont
Questi aspetti non devono però togliere rilevanza alle azioni che i cittadini hanno messo in atto con le loro azioni per fare luce sulla malagestione del cantiere dell’opera. Emergono qui gli interventi dei residenti di Vallugana di San Tomio a Malo, ma soprattutto dei residenti di Palazzina di Cornedo. Nessuno può permettersi di usare i PFAS per nascondere i risultati ottenuti dai comitati dei cittadini, in modo particolare quelli recenti sul tunnel, chi ha messo questo aspetto al centro del tavolo della discussione sulla SPV sta commettendo un errore e una manipolazione. Il punto è che i cittadini di Palazzina, sono riusciti ad ottenere attraverso il loro avvocato, la nomina di un perito che assisterà il giudice del Tribunale di Vicenza. Egli potrà entrare in galleria a Castelgomberto e verificare l’effettivo danno che potrà essere arrecato dalla modalità costruttiva del tunnel. Si tratta di un fatto la cui rilevanza è straordinaria, e i PFAS non possono nascondere questo aspetto. Siamo tutti nella stessa squadra ma quelli di Palazzina giocano in attacco e sono dei centravanti in questo momento.
Il comitato di Palazzina di fatto ha ottenuto di riprendere in mano quello che la Procura di Vicenza non è riuscita a tenere al centro dell’attenzione e dell’attività inquirente, vale a dire l’indagine sulla mancata certificazione dei materiali del tunnel Malo-Castelgomberto. La relazione tra mancata certificazione dei materiali, condizioni geologiche, condizione degli abitanti che vivono a 40 metri direttamente sopra agli scavi del tunnel, è una relazione esplosiva. Una specie di caso Vajont, con una galleria perfetta, come lo era la diga a doppio arco sotto al Toc, in una montagna a rischio cedimenti per le notevoli presenze di acque infiltrate. Manca ogni analisi degli effetti sulle aree esterne dove risiedono gli abitanti di Palazzina.
Vale la pena di riaprire la questione che ha portato al dissequestro da parte del Giudice del Riesame, quella del dibattito tra opere provvisorie e opere provvisionali. Si arrivò a sciogliere il nodo sostenendo che le opere di sicurezza fossero provvisorie e in quanto tali, non necessitassero di alcuna certificazione. Invece si tratta di opere provvisionali, cioè di provvedimenti da prendere necessari e indispensabili per garantire la sicurezza dei lavori sia a chi li esegue sia a chi li subisce, perché interferito dal cantiere come il caso di Palazzina di Cornedo Vicentino. Il Giudice del Riesame di Vicenza ha giocato su queste due parole prendendo per buona la versione del perito di SIS. In modo pretestuoso si sono dimenticati della chiara definizione di legge nelle Norme Tecniche di Costruzione relative ai provvedimenti da prendere per costruire in sicurezza un opera.
Provvisorio o provvisionale
I fatti emergono il 12 novembre 2019, quando il Giornale di Vicenza ha dato notizia del provvedimento del Giudice del Resame che ha annullato il decreto di sequestro emesso dal GIP. L'ipotesi era di frode in pubbliche forniture derivante dal possibile impiego di attrezzature di acciaio non corrispondenti al capitolato e privo delle certificazioni di legge. In quel periodo emersero notevoli perplessità in ambito tecnico scientifico di cui riuscimmo a trovare conferma negli scambi avuti con il Prof. Crescentino Bosco che oggi a più di due anni di distanza abbiamo deciso di sintetizzare.
Il CoVePA ritiene che quel provvedimento del dott. Miazzi, abbia ricadute non solo per la sicurezza degli operai, ma riguarda anche la sicurezza esterna delle case dove risiedono gli abitanti di Palazzina. Il dissequestro è stato assunto sulla base di una consulenza tecnica di parte del Concessionario SIS, che sarebbe fondata su una interpretazione che ha equivocato il 1° comma del § 11.1 delle norme tecniche sulle costruzioni (D. M. 17/1/2018). Le NTC definiscono "materiali e prodotti per uso strutturale, utilizzati nelle opere soggette alle presenti norme, quelli che consentono ad un'opera ove questi sono incorporati permanentemente di soddisfare in maniera prioritaria il requisito base delle opere n. 1 "Resistenza meccanica e stabilità" di cui all'Allegato I del Regolamento UE 305/2011". Tale requisito base influisce direttamente sulla "sicurezza strutturale e sulle prestazioni di un'opera o una parte di essa" ai sensi del 2° comma del § 2.1 delle NTC e la sua mancanza comporta la corrispondente mancanza del requisito della sicurezza per l'opera in cui i materiali sono incorporati.
Da ciò deriva che la struttura costituita dalla roccia rinforzata con barre di acciaio e calcestruzzo spruzzato della galleria naturale della SPV (una delle tecniche di rinforzo e consolidamento della roccia messa a nudo dallo scavo in avanzamento di una galleria naturale), avente lo scopo di garantire condizioni di utilizzo e di lavoro in sicurezza per tutto il tempo che intercorre fino alla realizzazione del rivestimento di calcestruzzo (cosiddetto) definitivo, è potenzialmente priva di tale requisito per il mancato rispetto del principio fondamentale del 1 comma del 5 2.1 delle NTC che stabilisce: "Le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo tale da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle presenti norme".
Il parere del Consulente tecnico su cui ha basato il dissequestro il Giudice Miazzi, avrebbe assunto che l'avverbio "permanentemente" contenuto nel 1° comma del § 11.1, sopra riportato, sia riferito alla durata della struttura costituita dal rivestimento definitivo di calcestruzzo (peraltro totalmente indipendente da quella costituente il primo rinforzo della roccia ma che in numerose pubblicazioni tecniche sono chiamate a collaborare per costituire un sistema resistente e dinamico con dal punto di vista geotencico) e arbitrariamente denominata "permanente", mentre indica semplicemente che per formare una (qualsiasi) struttura è necessario l'assemblaggio duraturo, secondo tecniche costruttive consolidate e definite in specifiche normative, di uno o più materiali aventi specifiche caratteristiche, in modo tale da conferire all'insieme le prestazioni stabilite in progetto. Le prestazioni della struttura e quindi principalmente la resistenza e la sicurezza, devono poi evidentemente mantenersi invariate per tutto il tempo nel quale la struttura svolge il compito previsto in progetto, da individuare in una delle 3 categorie di vita nominale minima stabilite al § 2.4 delle NTC in 10, 50 e 100 anni.
Nel confronto con il Prof. Crescentino Bosco. Già docente al Politecnico di Torino e che è stato direttore del laboratorio prove su materiali e strutture e consulente del Servizio Tecnico Centrale dei LL.PP., è emerso che le NTC non suddividono le strutture in temporanee e permanenti come assunto nella relazione alla base del giudizio del riesame, ma soprattutto non le differenziano in termini del requisito base di resistenza meccanica e stabilità e quindi della sicurezza, che va comunque ad esse conferito mediante l'impiego (7° comma del § 2.1) di materiali marcati CE o qualificati ai sensi del 3' comma del 5 11.1. Di conseguenza l'affermazione nella perizia assunta dal Riesame: "le "strutture temporanee" non sono "strettamente" soggette al possesso del requisito base numero 1 e quindi in esse possono essere impiegati materiali non qualificati" che attribuisce ad una "struttura temporanea" una minore importanza in termini di resistenza e sicurezza rispetto alla "struttura permanente", manca del suo fondamento. D'altra parte, se si impiegano materiali non qualificati, gli stessi materiali sono per definizione privi del requisito di resistenza assunto in progetto, requisito che viene a mancare anche nella struttura con essi realizzata. Infine, anche l'affermazione secondo la quale "va fatta distinzione tra rivestimento provvisorio e rivestimento definitivo e che le leggi e le norme di interesse (§ 11.1 nelle NTC, ndr) trovano applicazione in senso stretto solo per quei materiali e prodotti che devono garantire la resistenza meccanica e stabilità di un'opera in modo permanente" e che "è possibile perciò l'utilizzo nella fase provvisoria di altri materiali", risulta priva di un fondamento riscontrabile nella dottrina interpretativa delle Norme Tecniche di Costruzione. Infatti la struttura (o fase) definita impropriamente "provvisoria" rientra nella categoria di strutture con minore durata di vita nominale, per le quali è comunque obbligatorio il possesso del requisito base di resistenza, possibile solo con l'impiego di materiali qualificati ai sensi delle NTC.
Dunque il dissequestro fa sì che la struttura resistente di prima fase della galleria naturale della SPV, realizzata con barre di acciaio non obbligatoriamente qualificate ai sensi delle NTC, sarebbe potenzialmente priva del requisito base numero 1 di cui all'Allegato I del Regolamento UE 305/2011 "resistenza meccanica e stabilità" e quindi sarebbe potenzialmente mancante dei presupposti per essere collaudata e posta in servizio, ovvero per consentire l'avanzamento dello scavo in condizioni di sicurezza come stabilito col principio fondamentale enunciato nel 1° comma del § 2.1 delle NTC.
Per queste ragioni i cittadini di Palazzina stanno portando avanti una battaglia fondamentale per la sicurezza delle opere pubbliche. Questa è la ragione fondamentale perché il CoVePA continua in questa battaglia sulla SPV e non intende lasciare da soli chi sta lottando ancora . Le inadempienze tecniche che Covid e PFAS vorrebbero nascondere possono ricadere sul bene pubblico, sulla sicurezza delle opere pubbliche, su quella dei trasporti e in definitiva sulla amministrazione pubblica aggravando irrimediabilmente la situazione finanziaria che la Pedemontana Veneta carica sulle casse della Regione. Invece di chiedere conto delle decine di migliaia di euro di penali al giorno, ci sobbarchiamo e copriamo anche le carenze tecnico costruttive, violando precise norme italiane ed europee in materia di costruzioni e sicurezza. Il tratto della Valle dell’Agno è dunque a concreto rischio di mancare il collaudo e l’apertura, e non vogliamo pensare a chi sa quali giochi delle tre carte stanno immaginando per ottenere questi obiettivi nei prossimi 24 mesi.
Le porte sbattute in faccia e le spalle voltate
Per queste ragioni risulta incomprensibile come ci sia qualcuno che nega l’appoggio al comitato di Palazzina come ci ha dichiarato il presidente del comitato di Palazzina. Laura Zambito ci ha riferito un fatto spiacevole ma che ha trovato riscontri nelle parole che ci ha detto Cristina Guarda sul punto. Troviamo inaccettabile che la politica di maggioranza rappresentata dai sindaci di Cornedo e Castelgomberto e quella di opposizione voltino le spalle al comitato di Palazzina. Rivolgiamo perciò un accorato e deciso appello alla politica soprattutto alle forze di opposizione in consiglio Regionale perché non abbandonino il comitato nella sua azione e offrano ai suoi componenti un concreto sostegno. Per quello che abbiamo cercato di approfondire in queste pagine i rappresentanti di opposizione devono farsi avanti e smetterla con il bla bla bla sulla Pedemontana Veneta. Quei cittadini stanno facendo azioni concrete e non può essere che sia solo il CoVePA a sostenere e ad approfondire questa azione civile. Ci appelliamo a una azione seria e concreta dei rappresentanti dell’opposizione, si superino le difficoltà, si assumano atteggiamenti costruttivi, si venga a confrontarsi con i comitati dei cittadini locali, e si smetta di piantare bandierine sulla Pedemontana Veneta facendo riunioni dimenticandosi di invitare i comitati che sul territorio combattono.
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